I giri di più giorni in mtb mi hanno sempre affascinato e attratto. Hanno la capacità di isolarmi dal resto del mondo, unicamente concentrato sulla meta, mi godo il percorso senza fretta, completamente immerso nella natura. Quest’anno lo spot scelto della nostra avventura alpina è il meraviglioso parco del Gran Paradiso. Saranno tre giorni di sano ciclo-alpinismo in gran parte all’interno dell’incontaminato parco del Granpa. Il parco è stato il primo ad essere istituito in italia il 3 dicembre del 1922 dal re Vittorio Emanuele III.
Presenti all’avventura sono i membri dello stimato MFTT: Ruttok, Avofabio e ovviamente il sottoscritto, più altri ragazzi conosciuti giusto al momento della partenza: Balvenie, Lancillotto MBC, Alpiko e Salukko.
1° giorno (Ceresole Reale – Bien)
Si parte dal paese di Pont Canavese, definito da alcuni di noi come il più brutto paese mai visto, dove lasciamo le macchine per il recupero. Infatti il percorso inizia, almeno ciclisticamente, poco sopra al paese di Ceresole Reale e quindi sarà necessaria un’auto per recuperare le altre lasciate in quota.
L’aria è frizzantina, c’è qualche nuvola all’orizzonte, ma tutto sommato la situazione meteorologica sembra volgere a nostro favore. Niente male se pensiamo che solo il giorno prima ci siamo beccati in macchina una tempesta coi fiocchi. Partiamo belli vestiti e ci lasciamo guidare dal “local” Balvenie lungo la Mulattiera Reale, una strada carrabile che consentiva al re di accedere al suo personale terreno di caccia che consisteva nell’attuale parco naturale. Presto le pendenze sostenute e i panorami incredibili della vallata ci riscaldano il corpo e l’anima. Siamo tutti carichi e pronti alle numerose sfide che ci aspetteranno. La salita procede senza intoppi e grazie alla dritta del buon Balvenie ci siamo anche evitati numerosi chilometri di odiatissimo asfalto.
La vista che si gode dal colle del Nivolet dei laghi artificiali Agnel e Serrù è da mozzare il fiato e grazie alle piogge dei giorni precedenti la nitidezza del panorama è incredibile.
La prima meta della giornata sarà il rifugio Savoia presso il Col del Nivolet. Poco prima della spianata troviamo la prima neve che certamente non ci lasciamo scappare, raidandola rischiando ad ogni metro il cappottamento.
Arriviamo belli affamati al rifugio in perfetto orario per il pranzo. L’idea iniziale è quella di prenderci qualche panino e riprendere velocemente il cammino, ma come sempre le cose non vanno in questa direzione.
Ci lasciamo prendere la mano e ordiniamo cibarie senza ritegno come non ci fosse un domani…. e via di polenta con cervo, salsiccia, funghi… concia e non! Il vino ovviamente non poteva mancare… tutto in porzioni a dir poco mostruose!!!
Il gioco è fatto, sono pieno come un uovo e mi aspetta ancora l’ultimo scollinamento a 2800 metri, al colle di Mentò, prima di arrivare alla prima sosta a Bien… sto per scoppiare! Maledetto cervo, c’è mancato un pelo che morissi di congestione!
Mentre saliamo lungo un bellissimo sentiero di mezza costa lungo il vallone Meyes, alla nostra destra il gruppo del montuoso del Gran Paradiso ci accompagna, maestoso fino al Colle. Non ho parole per descrivere la bellezza del paesaggio, dove le imponenti montagne degradano fino ad una valle incontaminata creata dallo scorrere di un torrente annodatissimo.
Ginti finalmente al colle di Mentò si para davanti a noi la valle Valsavaranche e il lago Djouan accerchiato da un bel gruppo di mucche al pascolo. Sin dai primi metri si capisce che la discesa non sarà una passeggiata. Infatti numerosi tornanti strettissimi ci aspettano, se poi ci aggiungiamo che è tutta una pietraia mortale siamo perfetti. Purtroppo qualche tornante non è precisamente fattibile, a meno di non avere la mtb di Automan, comunque il sentiero rimane godibile e incredibilmente ostico.
Siamo comunque sopravvissuti tutti anche se Salukkio decide di dare inizio al suo personale record del mondo di forature.
Giungiamo così al casotto di Orvielle dopo una bella discesa molto pietrosa che ci frullerà un pò le braccia. Prendiamo quindi un variante suggerita da Salukkio che ci ha assicurato ci piacerà non poco. Devo dire che la promessa è stata mantenuta in pieno, il sentiero che si annoda in un stupenda pineta è strepitoso. Il singletrack è molto scorrevole, le ruote corrono veloci in lunghi rettilinei, le curve sembrano disegnate per le mtb. Una vera goduria, siamo esaltati e andiamo “full Throttle”. Peccato solo per i numerosi pedoni che ci costringono a rallentare perdendo un pò di ritmo. Siamo così giunti, come sempre troppo velocemente, alla frazione di Eau Rousse. Per oggi il divertimento è concluso; ci dirigiamo verso Bien per dormire e recuperare un pò le forze spese. Doverosa la sosta nell’unico pub della zona per recuperare sali minerali persi nel corso della faticosa giornata.
2° giorno (Bien – Rifugio Vittorio Sella)
Dopo una colazione super abbondante, si parte per la tappa più corta, ma decisamente critica come dislivelli da affrontare. Raggiungeremo il punto più alto di tutto il tour, a quota 3.300, in prossimità del col Lauson. Il sentiero parte subito bello incaxxato rimanendo comunque ciclabile. La salita procede con una serie interminabile di tornanti, tutta su singletrack, un susseguirsi di strappi e pezzi in piano perfetti per recuperare fiato. Una delle salite più belle che abbia mai fatto. Giungiamo al casotto di Lavonaz, un posto incantevole dove facciamo l’inaspettato incontro di una volpe. Ormai praticamente addomesticata si è lasciata facilmente avvicinare senza timore. Un incontro così ravvicinato non mi era mai capitato, l’emozione è stata forte.
Adesso i giochi si fanno seri e la salita comincia a tirare decisamente. Siamo in una vallata di origine glaciale dove le rocce regnano sovrane. Il sentiero non sempre ciclabile ci fa guadagnare dislivello velocemente. Intanto cominciamo a scorgere la nostra meta, il Colle Lauson. La salita finale al colle è terrificante da vedere, un muro quasi strapiombante.
Tutti si chiedono da dove possa passare il sentiero, sarà dura, ma non demordiamo. Intanto mentre mi trascino con la bici in spalla riesco anche a scorgere in lontananza un camoscio che mi scruta diffidente. L’ambiente è estremamente selvaggio, sono galvanizzato e comincio a salire le durissime rampe a piedi concentrandomi unicamente sulla meta finale.
Arriviamo finalmente al Colle, la vista da qui è commovente. La fatica come d’incanto mi abbandona lasciando il posto ad una serenità e contentezza mai provata.
Intanto che ci godiamo la vista del rifugio Sella aspettiamo di compattare il gruppo.
La discesa sembra essere molto esposta nella prima parte per poi diventare un budellino scorrevole che mi fa venire subito l’acquolina in bocca. Partiamo, il primo tratto va affrontato a piedi a causa del sentiero strapiombante e strettissimo. Appena il sentiero si allarga ci lanciamo come non ci fosse un domani. Il sentiero è un vero spettacolo, neanche una pietra, scorrevole, in poche parole divertentissimo!
In pochi minuti siamo alla base del vallone che ci porterà al rifugio. Siamo tutti entusiasti, contenti come dei bimbi. Mamma mia che divertita!
Cerchiamo di riposarci il più possibile al rifugio, anche perchè la tappa successiva sarà la più lunga e faticosa. Dormire in una camerata strapiena di persone con problemi di aerofagia non è semplicissimo.
3° giorno (Rifugio Vittorio Sella – Pont Canavese)
Devo dire di aver dormito poco, forse più in preda ad uno stordimento da metano che sonno vero e proprio. La sveglia è alle 6.30, non ideale per riposarsi, ma perfetta per scattare qualche foto approfittando dell’alba e della bellezza del posto.
Adesso ci aspetta una discesa mortalmente ostica. Lasciato alle spalle il “flow” della discesa precedente, si passa ad un terreno disseminato di massi e scoline dell’acqua. Il sentiero diventa sempre più impegnativo e tecnico. La parola “trialistico” calza a pennello. Qui scatta in me tutto l’amore per i sentieri da affrontare lentamente, ragionando su ogni singolo passaggio, scegliendo la traiettoria giusta per non volare dritto in mezzo alle rocce.
Giunti a Cogne siamo già cotti, anche se abbiamo fatto praticamente solo discesa. L’impegno è stato totale e i chilometri già percorsi non hanno certo migliorato la nostra resistenza.
Dopo una breve pausa in paese per una seconda colazione, si riparte. Adesso la salita sarà costante e graduale. Non sci illudiamo però, la lunghezza della terza e ultima tappa ci fiaccherà definitivamente. Cominciamo così a prendere quota prima su asfalto e poi su sterrata. La valle che percorriamo è praticamente disabitata. Peccato solo per la presenza di tralicci dell’alta tensione che rovinano leggermente la sensazione di isolamento e quiete del posto. Arriviamo al rifugio Sogno di Bertzè, buttiamo praticamente a terra le bici e ci dirigiamo prontamente al ristorante per ordinare. Cominciamo ad essere stanchini e siamo ben contenti di poter mettere i piedi sotto una tavola. Un bel piatto di affettati e formaggi, inaffiata da una buonissima birra artigianale della Val d’Aosta ci rimettono in senso. Le fatiche non sono certo terminate e l’arrivo è ancora ben lontano.
Il sentiero riprende subito a salire costringendoci a lunghi tratti a piedi.
La nostra prossima metà è la finestra di Champorcher a 2500 metri. La discesa non è certo rilassante, i numerosi pietroni smossi presenti lungo il percorso sono insidiosi. La parte finale è un pò più scorrevole fino a raggiungere una comoda carraia. Teniamo duro e velocemente raggiungiamo l’ultimo rifugio del giro, il Dondena. Adesso siamo veramente alla frutta, ci concediamo l’immancabile moretti e ci rimettiamo in cammino. Dobbiamo ritornare a quota 2500, altri 300 metri di salita, l’ultima prevista della giornata che ci porterà al colle Larissa. Le nostre speranze vengono completamente annientate quando ci rendiamo conto che le nostre fatiche non sono ancora giunte alla conclusione… infatti al termine dalla salita non siamo ancora al colle. Dobbiamo ancora scendere per poi risalire. Il morale comincia un pò a incrinarsi causa la stanchezza della giornata. Non molliamo e in breve concludiamo l’ultima salita. Intanto il tempo comincia a peggiorare e le nuvole ci avvolgono. Giunti al Colle ci rivestiamo e cominciamo a scendere tra le nebbie.
Il sentiero è cattivo… sassi, curve strette! La stanchezza ci costringe a numerose soste per riposare le braccia. L’ambiente è selvaggio, sembra di essere fuori da ogni tipo di civiltà. I panorami non saranno certo incredibili, ma la natura selvaggia del posto mi attira irresistibilmente. La traccia non è sempre percorribile in bici e quindi decidiamo di seguire un percorso alternativo tra i prati lungo una cresta in puro stile freeride. Arrivati ad un alpeggio una mandria di mucche consistente ci riporta in un certo senso alla civiltà. La discesa purtroppo è molto rovinata dal passaggio degli animali costringendoci a numerosi tratti a piedi. Siamo ormai degli zombie, ma per fortuna le nostre fatiche sono ormai finite. Raggiungiamo così una carraia che ci porterà al bel paesino di Pianprato. Come ultima prova mancheranno i venti km di strada asfaltata che ci separano da Canavese. Per fortuna sono quasi completamente in discesa, altrimenti le probabilità di sopravvivere del gruppo sarebbero calate drasticamente.
Anche questa avventura è terminata, impagabili sono state le emozioni che ho provato in questi tre giorni intensi. Importantissima anche la compagnia che, al pari della bellezza dei posti, ha reso il tutto semplicemente perfetto.
Fulllllll throttleeeeeeeee!!!!!!
mi son commosso e allo stesso tempo me girano i coioni per non essere stato dei vostri. Compliments anatas, mi hai fatto sognare!!!
Bobby Six
E bravo anny! Invidia a manetta…
é sempre bello leggere i vostri racconti!
bravi!
gianni(miao)
LA VOLPE AVEVA LA RABBIA E FRA POCO MORIRETE TUTTI!! HA HA HA….CRIBBIO CHE INVIDIAAA
BELLISSIMO RACCONTO E STUPENDE FOTO.
notevole! la volpe è na roba mai vista!
si vede che era attratta dall'odore di birra che emanate