L’estate da vagabondi è quasi finita…

Dunque dove eravamo rimasti? ahhhh, sì! io e la Sammy siamo a Selva di Cadore coccolati in un meraviglioso resort a quattro stelle. Tutte le mattine ci svegliamo abbastanza presto per goderci al massimo ogni singola giornata. Evidentemente in questo albergo però non è la prassi e spiazziamo inizialmente il metrè abituato a turisti fannulloni con il pulloverino sulle spalle. Poco male, tanto noi ci arrangiamo e afferriamo con insaziabile voracità ogni cosa pronta e possibilmente commestibile. Anche i continui assalti degli animatori al nostro tavolo vanno inesorabilmente a vuoto. Sconsolati si allontanano senza riuscire a coinvolgerci nei loro meravigliosi intrattenimenti. Appena possiamo fuggiamo all’aperto, correndo come lepri inseguite da cacciatori e con una voglia incontenibile di vivere le dolomiti e di respirare a pieni polmoni ogni singola emozione che ci offrono.
Non ci facciamo mancare niente, non solo mtb, ma anche trekking e ferrate,  l’importante è trovarsi immersi nella natura, per noi è una necessità al pari dei pesci per l’acqua. Siamo come drogati che cercano disperatamente ogni tipo di sostanza stupefacente, basta riuscire a evadere dal mondo reale e sentirsi felici. La nostra droga è la montagna e ne siamo attratti continuamente, assuefatti senza alcuna disintossicazione possibile.
Lasciamo che le mete dei nostri vagabondaggi montani si susseguano naturalmente senza nessuna forzatura come le pedine di un domino costruito alla perfezione. La dinamicità del domino e l’apparente flusso continuo nel suo completarsi mi sembra in questo momento molto affine al modo di prendere le cose mio e della Sammy. Anche se diametralmente opposti, entrambi: il puzzle con la sua lenta e perfetta costruzione e il domino con il fluire veloce e naturale, rendono l’idea sul come ci piace affrontare le cose.
Ma torniamo alla realtà che è meglio… alle continue insistenze della  Sammy per fare qualche ferrata non oppongo quindi resistenza, dopo tanta bike posso cedere volentieri le redini dell’estate.
Le dolomiti sono il luogo perfetto per praticare qualche ferrata, la scelta sicuramente non manca e fattore ancor più importante è che sono l’unico modo, escluso l’arrampicata, per raggiungere molte vette.
Le tessere del domino cadono una dietro l’altra: le ferrate del Nuvolau, Averau, Pomagagnon, della Tofana di Roses, i giri in mtb del monte Pome e quello dei cinque rifugi attorno Cortina… la nostra estate fila veloce, un domino che sembra perfettamente organizzato, ma che in realtà è nato dalla completa disorganizzazione. Simbolicamente anche il puzzle procede spedito, manca soltanto la parte centrale, mentre i contorni ormai sono completi, storia passata. La parte centrale del viaggio è ancora incerta e sfuggente, le nebbie mattutine della memoria però si stanno dissolvendo con il sopraggiungere del tepore pomeridiano.
Preferisco anch’io proseguire veloce il racconto senza fermarmi troppo su tutte le tessere delle nostre avventure vissute. Lascio alle immagini il compito, che certamente svolgeranno meglio delle mie parole, di trasmettere almeno in parte le forti emozioni provate.
Durante la nostra agiata permanenza in Cadore raggiungeremo spesso, forse troppo spesso per il povero Berlingo , il meraviglioso passo di Giau. Ci sarebbe da fare un momento alla nostra macchina per tutti i passi alpini che ha coraggiosamente affrontato
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Ferrata del Monte Averau
Abbiamo deciso di iniziare con la “facile”  ferrata del Monte Averau, un trekking non troppo lungo e impegnativo che ci permette anche di riprendere un po’ fiato e caricare le nostre ormai esauste batterie.
La Sammy è irresistibilmente attratta da ogni bovino incontrato lungo il percorso, chissà cosa si staranno dicendo? Maaaa o muuuuu
Lungo il percorso ammiriamo le cinque torri che emergono del verde della vegetazione come un’immensa fortezza. La bellezza del panorama ci mozza il fiato,  sullo sfondo le timide Tofane cercano invano di nascondersi dietro alle nubi. Sembrano il Gigio, il nostro gatto super ciccione, che tenda di nascondere il muso dietro le tende e tenderci un agguato. Peccato solo che il suo mega culone sporga ancora fuori perfettamente visibile.
Pur non essendo molta lunga, la ferrata è talmente ingolfata, peggio della tangenziale di Milano il venerdì sera, da diventare una trappola mortale. Con qualche difficoltà e soprattutto molto lentamente arriviamo  comunque sulla vetta della frequentatissima cima Averau.
Inutile dire quanto il panorama sia sensazionale, siamo circondati da catene dolomitiche fino a perdita d’occhio.
Ferrata Strobel:
Carichi per la meravigliosa ferrata del Averau decidiamo quindi di affrontarne un’altra un pelino più impegnativa: la ferrata Strobel della forcella Pomagagnon. Torniamo ancora al passo di Giau per poi ridiscendere verso la valle dove si adagia la costosissima e sciccosissima Cortina.
Partiamo dall’abitato di Fiames poco fuori da Cortina e ci immergiamo subito della natura inerpicandoci su ghiaioni ripidi lungo il pendio di punta Fiammes. La ferrata è molto divertente con molti passaggi da fare in arrampicata come piacciono a me. Sotto di noi, sempre più distante,il palazzetto dello sport sembra un po’ stonare in questo ambiente così selvaggio.
Anche se lunghina procediamo speditamente lungo la ferrata e dopo qualche ora raggiungiamo la vetta.
Come spesso accade in montagna scopriremo ben presto che la parte difficile del percorso sarà la discesa. Dalla forcella parte un ghiaione infinito dove si incrociano mille tracce di sentieri. Un po’ a casaccio ci lanciamo di corsa in discesa ridendo come dei matti. Arrivati quasi in fondo al canalone dobbiamo attraversare un profondo canale scavato dalle acque. Dopo qualche esitazione per trovare il passaggio con qualche difficoltà raggiungiamo l’altra sponda. Intanto altre persone stanno ancora affrontando il terribile ghiaione. Ad un certo punto una coppia sbaglia strada infilandosi in uno stretto canalino. Per farli uscire gli indichiamo la via corretta e dopo qualche scivolone e momento di tensione anche loro riescono a cavarsi dall’impaccio.
Rientriamo finalmente nel bosco e ci incamminiamo lungo un sentierino poco pendente che serpeggia ai piedi della montagna. In un’alternanza di curve a gomito ci troviamo il Monte Sorapis di fronte e alle nostre spalle.
In breve torniamo al punto di partenza e reintegriamo i sali perduti con una bella birra ghiacciata.

Giro del Monte Pore in MTB:
Il tempo che ci ha assistito tutta l’estate, regalandoci sole e temperature miti, peggiora leggermente e già dalla mattina le nuvole cominciano a radunarsi come un gregge di pecore guidate dal cane. Non ci lasciamo scoraggiare e incuranti del meteo decidiamo di fare un giretto in bici in zona. Partiamo dal Colle di Santa Lucia a pochi chilometri dal nostro albergo. La salita per arrivare poco sotto al passo di Giau ci scalda subito con qualche rampa con pendenze scandalose. Per fortuna il cielo anche se sempre più nero ci risparmia dall’acqua durante tutta la salita. Siamo quasi nel punto più alto del percorso, i numerosi turisti incrociandoci ci fanno i complimenti e ci spronano a spingere sui pedali. Ammiriamo il vicino Monte Averau, le nuvole non sembrano così minacciose e ci illudiamo di riuscire a schivare anche l’acqua. Stiamo circumnavigando il monte Pore e appena la salita molla la presa entriamo in una valletta isolata e snobbata dal turismo.
Nel mentre cominciano a scendere le prime gocce, non potevamo passarla liscia per tutto il giro.  Il meteo incerto e quasi autunnale, senza però infierire più di tanto su di noi, ci accompagna fino alla fine della discesa al Colle di Santa Lucia.
Ferrata della Tofana di Roses:

Dopo la breve pausa in bici e visto il meteo tornato semplicemente perfetto decidiamo di affrontare la lunga ferrata della Tofana di Roses. Raggiungiamo in macchina il rifugio Dibona passando per l’immancabile passo Giau. La parete immensa della Tofana ci scruta imponente dominandoci con tutta la sua mole. Giusto il tempo di ammirarla che una nuvola dispettosa pudicamente la nasconde con un sottile velo di seta.
 Raggiunto l’attacco della ferrata ci accodiamo ad altri escursionisti e entusiasti ci attacchiamo alla roccia bianca come neve. La ferrata è proprio divertente e mai eccessivamente difficile. Il panorama è incredibile rendendoci difficile proseguire nella scalata senza buttare un occhio alle nostre spalle.
Attraversiamo la lunga galleria costruita durante la prima guerra mondiale dall’esercito italiano. La sua costruzione aveva lo scopo di raggiungere da sottoterra l’appostamento dell’esercito Austriaco e farlo saltare minando la base della promontorio in cui si era appostato. Tutte le nostre montagne sono segnate dai grandi conflitti e come immensi musei naturali ci ricordano le immense sofferenze patite dal migliaia di giovani spesso morti inutilmente.
La salita è lunga e abbastanza fisica, ma non sentiamo la fatica, scivola via, siamo troppo carichi per provare qualsiasi emozione se non stupore e felicità. Riusciamo a vedere chiaramente il ghiacciaio purtroppo ormai sempre meno esteso della regina delle Dolomiti, la Marmolada.
Finita la ferrata ci incamminiamo lungo il tratto finale di sentiero che ci porterà alla vetta della Tofana di Roses. Ormai siamo arrivati e ci sentiamo come fossimo davanti ai cancelli del paradiso in attesa di entrare.

La vetta è raggiunta, non ci sono parole per descrivere l’emozione che proviamo, non sappiamo dove guardare. Un’infinità di gruppi dolomitici si staglia davanti a noi: la Marmolada, il Sella, il Civetta, il Cristallo, tutto il Cadore… ti senti in un’altra dimensione, ogni bruttura del mondo ti sembra distante anni luce, c’è solo bellezza e perfezione.
Non vorremmo mai scendere, ma ormai è il momento di rientrare e ci aspetta una lunghissima discesa per tornare al rifugio Dibona. A metà discesa non possiamo certo non fermarci al perfetto rifugio Cantore per una birra o forse meglio due. Allegrotti per la birra e per tutte le emozioni provate riprendiamo presto il cammino e continuiamo la discesa che ci porterà velocemente alla macchina.
Giro dei cinque rifugi – Cortina
Ormai il temutissimo giorno del rientro a casa si sta avvicinando, sentiamo alle nostre spalle il pauroso spettro della partenza che ci sta raggiungendo. Ci rimane una cartuccia da sparare e non potendo sbagliare optiamo per il giro in mtb dei cinque rifugi a Cortina, definito su numerose testate del settore “il più bello del mondo”. Ad essere sinceri, col senno del poi, avrei aggiunto alla descrizione anche che è il giro “più crosskrautistico del mondo”. Rimane il fatto che a quanto panorami e bellezza dei posti attraversati non teme certo rivali.
Partiamo sempre da Flames e ci immettiamo sul tracciato della ex linea ferroviaria Cortina – Dobbiaco. La strada sterrata sale dolcemente dandoci tutto il tempo di scaldare le gambe e abituarci al ritmo della pedalata.
Lasciamo la ex ferrovia e ci addentriamo in una stretta valle ai piedi della Croda Rossa salendo con decisione fino alla forcella Lerosa. Raggiunta ci lanciamo nella veloce discesa fino ai piedi dell’incantevole val Salata.
La Sammy non riesce proprio a resistere al richiamo bovino, c’è poco da fare, le adora.
La carraia attraversa perfette distese di prati destinati al pascolo e ci fa guadagnare quota funestandoci con cattivissimi strappi spacca gambe. Il panorama ci allevia almeno le fatiche e ci ricorda nella sua maestosità del perché facciamo tanta fatica.
Finalmente raggiungiamo il rifugio Sennes passando dal Veneto al Trentino. Mi vengono in mente le parole di un escursionista incontrato lungo il percorso che affermava che tutto è più bello in Trentino anche l’erba sembra più verde. Sarà suggestione, ma anche a me entrando in trentino ho l’impressione che l’erba sia più brillante e curata.
Dopo una breve pausa ci rimettiamo in cammino e letteralmente polverizziamo tutte il dislivello duramente conquistato su un una carraia pendentissima che ci costringe ad aggrapparci ai freni peggio di una scimmia alla liana. Raggiunto il punto più basso presso il rifugio Pederù ci disperiamo nel vedere la salita che ci aspetta a braccia aperte. Intanto la temperatura dell’aria si è fatta torrida aggiungendo disperazione alla nostra già fragile condizione psicologica.
Ci armiamo di santa pazienza e tornante dopo tornante, spolti di sudore, arranchiamo guadagnando preziosa quota. In un tempo indefinibile, che potrebbe essere di ore come di giorni, raggiungiamo il rifugio Fanes e il passo di Limo.

 Ci attardiamo sul passo presso una croce ad ammirare il panorama e riprenderci dalla faticosa salita. I ricordi di tutte le avventure vissute quest’estate mi assalgono come un branco di lupi in vista della preda. Li ricaccio indietro, adesso si scende e ci sarà tempo per abbandonarsi ai ricordi. Purtroppo anche questa discesa è tutta su forestale come a confermare la natura puramente XC del giro.
Raggiunta la macchina facciamo ritorno all’Orso Grigio passando per la millesima volta dal passo di Giau.
Questa volta ci siamo, le nostre lunghe, ma purtroppo non infinite, ferie sono alla inesorabile conclusione. Ci sentiamo come sull’orlo di un burrone e basta una leggera spinta per farci precipitare dall’eden in cui abbiamo vissuto sul duro fondo della realtà di tutti i giorni.
Ma torniamo a noi… Anche se temporalmente il giro dei cinque rifugi è stato l’ultimo mi rimangono ancora altre peripezie da descrivere e mettere al proprio posto. C’è ancora tanto da scrivere e quindi bando ai sentimentalismi e via con la ricostruzione del puzzle estivo.

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